Elsa del mar (di Davide Sirignano)
Arrivò come le onde schiumose del mare toscano di Grosseto sulla spiaggia di Alberese. Inondò con il suo sorriso le stanze del servizio territoriale in cui lavoravo: un hospice della bassa toscana.
Elsa apparve tempestosa ai miei occhi, ma dal suo sguardo si intuiva la sua assenza: non avrebbe mai voluto stare in quel luogo a terminare la sua vita; le poche parole dei suoi accompagnatori facevano supporre che quel ricovero fosse stato una forzatura, dettata dall’incapacità, irresponsabile, di affrontare un lineare percorso di morte. Povera Elsa: quanto aveva lottato contro il suo male incistato profondamente nelle viscere, e, in fondo, contro una vita umilmente vissuta a servizio di una famiglia ricca, sin dalla piú tenera età e con pochissimi svaghi. Suo padre, infatti, si ammalò precocemente abbandonandola al suo destino di solitudine. Invece di sbocciare negli anni migliori della sua adolescenza, avvizzì soffocata dai capricci dei suoi padroni. Fu costretta, poi, ad abbandonare gli studi per favorire i suoi fratelli: una rinuncia di cui mi rivelò sempre avere molto il rimpianto.
Venne poi il matrimonio troppo affrettato. Lei cercava l’amore protettivo. Sí, quello dei grandi romanzi: sarebbe bastato un piccolo principe o piccolo eroe, ma dalle sue parole capii quanto, per Elsa, la parola amore fosse evanescente.
Si guardava spesso intorno e si sentiva sola osservando il vuoto della sua stanza. Non sentiva la voce di nessuno per consolarla, al di fuori di quelle degli operatori sanitari. Quel grande vuoto la riportava ai ricordi di quando passeggiava sulla spiaggia con le sue gambe, ora confinate sotto il lenzuolo di un letto di degenza: nessuno dei suoi familiari l’avrebbe più portata nella sua casa sul mare vicino Alberese.
Elsa si lasciava vivere. Ogni giorno della sua vita da terminale il suo corpo sopportava il dolore di un male che la inquinava dentro. Il prodotto di questo carcinoma al colon era, da una parte, una busta piena di urina dorata e, dall’altra, una busta di piombo putrescente.
Mi ripeteva continuamente di non voler essere un peso per suo marito Marco, incapace di accudirla, e dei suoi due figli adulti, troppo occupati a far fermentare e fruttare il succo d’uva dei loro vigneti.
Gli davo sempre la buonanotte, ma non voleva mai addormentarsi da sola e chiedeva di abbassare il suo televisore e di lasciare la luce del bagno accesa. Aveva molta aura del buio, anche se non voleva ammetterlo per vergogna. Quando finivo il mio giro di terapie mi sedevo sulla poltroncina vicino al suo letto per scambiare due chiacchiere. Mi raccontò che a soli dodici anni dovette accudire suo padre malato e alla sua morte, poco dopo, andò a servizio presso una famiglia ricca come aiuto domestica: dovette imparare velocemente a pulire, spolverare, cucinare come un adulto. A sedici anni, stufa di essere pagata poco per la sua età, si propose per la vendita di scarpe in un negozio di lusso. Ripeteva sempre di aver sacrificato irrimediabilmente la sua infanzia e la sua adolescenza: aveva fatto un salto immediato nella vita adulta, mentre ancora ripensava alle bambole e ai vestitini che non aveva mai ricevuto.
Il mare non poteva dimenticarlo: era il suo argomento ricorrente. Rammentava spesso l’immenso blu e la risacca che ascoltava, notte e giorno, dalla sua casina al mare di cinquanta metri quadri. Per Elsa la libertà era potersi bagnare nelle acque azzurre del mare, la mattina presto, fare le sue quotidiane commissioni, ritornare poco prima di pranzo e, infine, immergersi di nuovo al tramonto. Talvolta le piaceva sovvertire i suoi orari, soprattutto negli ultimi tempi della malattia, senza dare alcuna spiegazione al marito. Quel senso di libertà di stare da sola, non controllata da nessuno, riscattava, in parte, il tempo perduto e sottratto alla sua vita. Elsa era nata già adulta!
Elsa sognava quel mare anche se, oltre i vetri di quell’Hospice, vedeva solo vigneti e contadini occuparsi della campagna. Il suo più grande desiderio era morire nella sua casa al mare, così provò a farsi dimettere per andarci con una badante. Non aveva calcolato, però, di essere circondata da parenti inetti!
Il suo tragico ritorno nell’Hospice toscano fu traumatico per tutti: le ossa sembravano uscirgli dal suo corpo cachettico, gli occhi erano sgranati dal dolore e dal pianto: era muta e non parlava piú del suo mare grossetano. Stranamente una sera mi chiese di raccontarle la favola, “La sirenetta”, “Il finale vero di Andersen voglio… non quello dei cartoni!” mi chiese rammentando di una volta in cui rivelai fosse la mia favola preferita. Elsa Leggeva sempre molto per distrarsi, ma voleva che gliela raccontassi io.
Cominciai “La povera Ariel non fu corrisposta dal principe Erik ammaliato dalla strega cattiva. Provò un dolore così grande… e, conoscendo già il suo destino, si gettò da una scogliera: il suo corpo diventò, improvvisamente, schiuma di mare pagando con la vita il patto mortale che aveva stipulato con la strega. Ariel era giá morta dentro, in realtà, e se fosse vissuta avrebbe patito il dolore di un amore non
corrisposto e non consumato!”
Elsa mi guardò in silenzio. I suoi occhi umidi volevano dirmi qualcosa. Si toccò la pancia e mi disse: “Stasera vorrei essere schiuma di mare!”
Le dissi che era solo una favola, una bella favola, la mia preferita, ma solo una favola. Come la routine voleva abbassai il suo televisore e accesi la luce del bagno, anche quella sera. Misi un piede fuori dalla porta per andare a sistemare gli altri pazienti e la sentì chiamare: “Davide spegni tutto, lasciami solo quella piccola lampada in fondo alla stanza: mi sembra un piccolo sole in fondo al mare.” Feci quello che desiderava.
Mi ero assopito sul divano del salotto comune. C’era un grande silenzio. Cominciai a sognare la marina di Grosseto come mi era stata descritta da Elsa: era strano in quel sogno passeggiare con lei sulla spiaggia. Non c’era nessuno e il sole era accecante. Poi vidi Elsa nuotare e salutarmi tra i flutti e i riflessi azzurri del mare. Si allontanava sempre di piú e gli facevo cenno di ritornare. Continuò a nuotare fino a sparire nell’immensità dell’oceano. Mi svegliai di soprassalto sfregandomi gli occhi: cominciai in anticipo il giro di controllo serale. Entrai nella stanza di Elsa e come Ariel, la sirenetta, lei aleggiava sulle acque di una favola già raccontata: era diventata schiuma di mare per sempre.
One Comment
Annalisa Milia
La trovo bella e struggente, i miei complimenti